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Smartworking - come applicarlo in azienda

riepiloghiamo un approfondimento redatto dalla Fondazione Studi del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Consulenti del Lavoro, in tema "COVID-19, COME APPLICARE IL LAVORO AGILE “SEMPLIFICATO”"

Lo studio ha predisposto un nuovo servizio dedicato alle aziende che volessero attivare lo smart-working, strumento sicuramente da prendere in considerazione, in generale, anche per il futuro ove possibile.

 

L’EMERGENZA EPIDEMIOLOGICA E LE CONSEGUENZE, DI FATTO E DI DIRITTO, SUL RAPPORTO DI LAVORO

La necessità di evitare il diffondersi del COVID-19, c.d. “Coronavirus”, crea situazioni particolari anche nella gestione delle assenze dal lavoro, conseguenti alle misure adottate dalle autorità nell’ambito delle aree considerate a rischio epidemiologico. Il decreto legge varato il 23 febbraio 2020 dal Governo – che assegna ai ministri ampi poteri di intervento straordinario per delimitare le potenziali occasioni di diffusione dei focolai - ha incrementato le occasioni in cui le attività lavorative possono essere particolarmente condizionate da interventi di pubbliche attività. Ciò rende necessaria la verifica di tali conseguenze, nonché lo scrutinio delle soluzioni adottabili, sia attraverso gli strumenti disponibili che attraverso quelli introdotti, o in via di introduzione, per fronteggiare tale situazione speciale.

 

L’IMPOSSIBILITÀ DELLA PRESTAZIONE LAVORATIVA DA ACCESSO O DA DIVIETO DI USCITA

Essere impossibilitati a prestare la propria attività lavorativa a causa del divieto di accesso in determinate zone o subire un divieto di uscita da quella in cui ci si trova rappresentano senz’altro due ipotesi nelle quali, in linea teorica, si realizza l’impossibilità della prestazione per fatti non imputabili al lavoratore né al datore di lavoro che, spesso, la giurisprudenza ha risolto ritenendo incolpevole il lavoratore per l’assenza e, allo stesso tempo, esonerando il datore di lavoro dalla corresponsione della retribuzione. Tuttavia, l’ipotesi specifica con la quale ci stiamo confrontando, ha elementi di novità non indifferenti, considerate l’estensione del fenomeno, l’incertezza della sua durata e degli sviluppi, l’estraneità assoluta a qualsiasi elemento comunque riconducibile a ragioni inerenti la produzione o le esigenze del lavoratore. È pur vero che il rilievo dell’interesse immediatamente tutelato dai provvedimenti disposti in attuazione di quanto previsto dal D.L. n. 6/2020 – la salute pubblica – è tale da consentire la compressione di ogni altro diritto, ma è altrettanto vero che non è possibile che le conseguenze negative ricadano esclusivamente sul lavoratore (nel caso di condivisibilità dell’orientamento giurisprudenziale, negando il diritto alla retribuzione) e neppure sul datore, qualora, come invece prospettato giusta la premessa eccezionalità, non s’intendesse trascurare la tutela del diritto alla retribuzione. È per la consapevolezza di questi motivi, sui quali - si ribadisce - incide in modo significativo la novità dei fatti concreti (non si ricordano, a memoria, nella storia moderna, epidemie di tale portata o comunque provvedimenti come il decreto in discorso), che, a prescindere dal se si voglia ritenere plausibile la scelta (diritto alla retribuzione vs “tradizionale” giustificazione del suo diniego), è da prospettare:

  • Una soluzione di immediata attuabilità, come il lavoro agile, opportunamente considerato dall’art. 4 c. 1 lett. a del DPCM dell’1 marzo 2020 (che ha sostituito l’art.3 del DPCM del 23 febbraio, e l’art. 2 del DPCM del 25 febbraio 2020) ed agevolato dal riconoscimento della possibilità della sua applicazione anche senza un accordo scritto;
  • la promozione di strumenti di sostegno al reddito straordinari.

 

QUARANTENA OBBLIGATORIA, VOLONTARIA E “PER SOSPETTO”

In queste ipotesi la situazione è piuttosto chiara e c’è ben poco da aggiungere a livello normativo. Il lavoratore soggetto a “quarantena con sorveglianza attiva”, come dalla lettera h) dell’art. 1 del D.L. n. 6/2020, è da considerarsi sottoposto a un trattamento sanitario e perciò la sua assenza è assumibile secondo la disciplina della malattia. Sarà, dunque, lui stesso ad aver cura di trasmettere il relativo certificato medico attestante il suo status. Identiche considerazioni possono riferirsi rispetto alla quarantena c.d. “volontaria”, quando giustificata da esigenze riconducibili alla lettera i) del D.L.
Nessuna giustificazione invece, può essere riconosciuta al lavoratore assente semplicemente perché “timoroso” del contagio, senza che ricorra alcuno dei presupposti clinici-normativi. In questi casi egli potrà richiedere, al più, permessi o ferie, che potranno essergli concessi o negati, nell’ambito della esecuzione in buona fede del rapporto di lavoro, ma per i motivi generici previsti per questi istituti, senza che possa rilevare il suddetto suo mero “timore” che, di per sé, lo farebbe invece considerare assente ingiustificato, con ogni conseguenza, soprattutto dal punto di vista disciplinare.

 

IL LAVORO AGILE

Ai sensi dell’art. 18 della legge n. 81/2017, il lavoro agile è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che prevede un’alternanza della prestazione lavorativa, eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, con una sostanziale indifferenza del legislatore per l’individuazione di questi ulteriori luoghi dove il lavoratore “agile” potrà decidere di lavorare, senza una postazione fissa predeterminata, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, così per come fissati dalla legge e dalla contrattazione collettiva.
Il nucleo essenziale del lavoro agile è rappresentato dall’accordo, con il quale le parti regolano le modalità di esecuzione del contratto. L’accordo, che deve essere in forma scritta ai fini della regolarità amministrativa e della prova, deve contenere ogni indicazione necessaria alla individuazione dei poteri di controllo e disciplinare del datore di lavoro, ed è altresì necessario per individuare i tempi di riposo del lavoratore, nonché le misure tecniche e organizzative per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro (art. 19 L. n. 81/2017).
Nell’ambito della disciplina del lavoro agile, informata a princìpi che riconoscono il diritto alla identità del trattamento normativo, assicurativo, previdenziale rispetto a tutti gli altri lavoratori che prestano la propria attività secondo i canoni ordinari dell’art. 2094 c.c., l’accordo tra le parti, che ne regola le modalità, costituisce un evidente momento essenziale, per l’obbligatorietà della forma scritta richiesta. Ma soprattutto, la considerazione del suo contenuto necessario ne conferma l’essenzialità quale presidio fondamentale di una tutela di sostanza del lavoratore e della sua persona, e non soltanto mera formalità.

 

LE CONDIZIONI DI APPLICABILITÀ “EMERGENZIALI”

Come premesso, il perno, anche dal punto di vista dei contenuti, del lavoro agile, è rappresentato dalla sua base essenzialmente volontaria. Ai fini della sua attuabilità è necessario l’accordo delle parti (art. 18), da formalizzare necessariamente per iscritto, “ai fini della regolarità amministrativa e della prova” e della disciplina dei “tempi di riposo del lavoratore nonché delle misura tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (art. 19).
Il DPCM del 25 febbraio, vigente fino all’1.3.2020, che attua le disposizioni del D.L. n. 6/2020 ampliando le previsioni del precedente DPCM del 23 febbraio, nel tentativo di limitare quanto più possibile gli effetti negativi del fenomeno epidemiologico determinato dal virus COVID-19 sul mondo produttivo, prevede all’art. 2 che il lavoro agile sia “applicabile in via provvisoria, fino al 15 marzo 2020, per i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da tali territori, a ogni rapporto di lavoro subordinato”. L’ultimo DPCM apparso ha allargato la misura del lavoro agile semplificato all’intero territorio nazionale.

Pur apprezzando i fini della norma, non si può negare che la formulazione testuale non particolarmente felice, è occasione dell’insorgenza di dubbi interpretativi ed applicativi, anche in considerazione del mutamento terminologico, che rende l’applicazione del lavoro agile da ‘automatica’ a ‘provvisoria’, nelle due versioni del DPCM apparse nello spazio di due giorni, definitivamente scomparso nella versione vigente dal 02.03.2020 a opera dell’art. 4 c. 1 lett. a del DPCM 01.03.2020.

 

L’AMBITO APPLICATIVO TERRITORIALE

Il regime derogatorio previsto dall’art. 2 del DPCM del 25 febbraio 2020 è applicabile per i datori di lavoro aventi sede legale o operativa nelle Regioni Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Veneto e Liguria, e per i lavoratori ivi residenti o domiciliati che svolgano attività lavorativa fuori da questi territori.
Tale ambito di operatività prende le mosse dal primo comma dell’art. 1 del D.L. n. 6/2020 (i cui princìpi sono attuati dal DPCM in discorso), che riconduce l’applicazione delle misure urgenti previste per evitare la diffusione del COVID-19 ai “comuni o aree nei quali risulta positiva almeno una persona per la quale non si conosce la fonte di trasmissione o comunque nei quali vi è un caso non riconducibile ad una persona proveniente da un’area già interessata dal contagio del menzionato virus”.
La delimitazione era utilmente asservita alla necessità di assicurare certezza all’applicazione giuridica e risolve in maniera più netta i dubbi circa la considerazione delle aree “considerate” a rischio, che erano stati avanzati rispetto alla originaria formulazione del DPCM del 23 febbraio. In modo estensivo, l’art. 4 c. 1 del DPCM 01.03.2020 ha definitivamente disambiguato la delimitazione dei territori coinvolti, allargando all’intero territorio nazionale la possibilità di utilizzo del lavoro agile in assenza di accordo fra le parti.

 

L’APPLICAZIONE AUTOMATICA E PROVVISORIA

Sussistendo i presupposti territoriali (l’area a rischio) e di fatto (la natura subordinata del rapporto di lavoro interessato), secondo l’art. 4 c. 1 lett. a del DPCM 1.3.2020 (che ha sostituito dal primo marzo l’art. 2 del DPCM del 25 febbraio 2020), la modalità di lavoro agile “può essere applicata”, “anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti” (l’ultima versione ha dunque eliminato il riferimento sia alla automaticità sia alla provvisorietà della applicazione del lavoro agile semplificato, limitandola solo alla “durata dello stato di emergenza di cui alla deliberazione del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020”). La durata dello stato di emergenza cui rimanda la deliberazione del 31.01.2020 è di sei mesi, fino alla fine di luglio 2020. È chiara l’intenzione del legislatore: ovviare alla formalità richiesta dalla L. n. 81/17 in via ordinaria (forma scritta), per agevolare, comunque, la possibilità di rendere la prestazione lavorativa, laddove possa avvenire a prescindere dalla presenza sul posto di lavoro. In tal caso si può omettere la sottoscrizione dell’accordo formale. E ciò è chiaro.
Appariva però più complicato assegnare un significato univoco alla formula “è applicabile in via provvisoria”, che sostituisce la previsione del DPCM del 23 febbraio e l’altrettanto incerto concetto di “automaticità”.

Potrebbe essere ritenuto nel senso che il lavoro agile, nell’ambito di aree considerate a rischio nelle situazioni di emergenza nazionale o locale, si applichi provvisoriamente anche in assenza di accordo scritto e che, a seguito della risoluzione della situazione di emergenza (temporaneamente delimitata sul piano cronologico adesso fino al 31 luglio prossimo), il datore di lavoro se vorrà proseguire nell’utilizzo della modalità di lavoro agile dovrà perfezionare anche il requisito della stipula di un accordo scritto.

Si può altresì interpretare come pretesa indifferentemente riconosciuta a una qualsiasi delle parti del rapporto di lavoro? Plausibile, in considerazione delle finalità di tutela cui la norma è preordinata, tali che l’applicazione possa rappresentare un diritto per il lavoratore, in difesa della sua salute, e un dovere per il datore, per l’obbligo di tutela diffusa che gli incombe innanzitutto dall’art. 2087 c.c. e dalle normative speciali. In ogni caso, dovendo ritenere immanente il principio della volontarietà, la preminenza degli interessi di tutela in gioco fa sì che l’eventuale diniego potrà essere opposto soltanto per effettive ragioni oggettive che ne impediscano la convenzione.

Due elementi appaiono in ogni caso certi.

  1. La già ricordata preminenza del principio della volontarietà, che richiede, anche se in via semplificata e informale, l’incontro della volontà delle parti. A ciò riconduce l’espressione del DPCM secondo cui il lavoro agile è “applicabile”, quindi comunque eventualmente, ricorrendone i presupposti e sempre per la volontà delle parti. Elemento che non può essere pretermesso, nonostante il riferimento, di non semplice comprensione, della applicazione “in via automatica” prima e “provvisoria” adesso.
  2. La superfluità della forma scritta. Il lavoro agile “per ragioni di emergenza” infatti può essere concordato, “anche” (e non necessariamente) in assenza degli accordi individuali attraverso il deposito della autocertificazione dell’attivazione del lavoro agile, pur non potendo omettere la condivisione con il dipendente interessato.

La versione vigente (01.03.2020) del DPCM supera le qualifiche di applicabilità del lavoro agile (automatico e provvisorio) limitandosi a fissarne un limite cronologico definitivo e lasciando ai datori di lavoro la facoltà di applicare l’istituto semplificato (“la modalità di lavoro agile…può essere applicata”).

 

L’ASSENZA DELLA FORMA SCRITTA

La pur chiara previsione della superfluità della forma scritta per l’accordo di lavoro agile pone dei problemi applicativi, sia di natura formale che sostanziale, conseguenti alla evidenziata centralità della funzione dell’accordo e della sua formalizzazione in regime ordinario.
La disciplina di tutte le più importanti caratteristiche del lavoro agile, le “modalità” della sua attuazione, mutuando la terminologia adottata dal legislatore del 2017 sono da questi demandate all’accordo tra le parti, sia quelle essenziali che quelle ancillari, ma altrettanto funzionali: le modalità di esercizio delle prerogative datoriali, il controllo per evitare il superamento dell’orario massimo di lavoro, il diritto alla disconnessione, i canoni di parità e garanzia della progressione professionale, l’applicazione delle norme di tutela della salute. Ma non solo. L’accordo che disciplina le modalità di svolgimento del lavoro agile, è soggetto alla comunicazione telematica obbligatoria tramite il portale dedicato di servizi.lavoro.gov.it (art. 23 L. n. 81/2017). Il secondo comma dell’art. 2 del DPCM dello scorso 25 febbraio così come il quarto articolo del DPCM 01.03.2020 consente di supplire al solo adempimento previsto dall’art. 22 della L. n. 81/2017, relativo alla informativa in materia di sicurezza, in via telematica “anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito dell’Istituto nazionale assicurazioni infortuni sul lavoro”. Tale ulteriore previsione derogatoria, che ha chiarito il precedente refuso dell’art. 3 c. 2 del DPCM del 23 febbraio che rimandava all’art. 23 (comunicazione obbligatoria) e non all’informativa sulla sicurezza, conferma l’essenzialità dei requisiti di forma previsti dal regime ordinario del lavoro agile, e che le deroghe in esame rappresentano un mero tentativo di semplificazione, appunto, formale, ma non una rivoluzione di sostanza. Tant’è che l’applicazione “provvisoria” del lavoro agile ai sensi dell’art. 2 del precedente DPCM deve attuarsi, come espressamente ribadito dalla norma stessa “nel rispetto dei princìpi dettati” dalla legislazione vigente, espressione mantenuta anche dall’art. 4 del DPCM vigente.
Per altro verso, l’indisponibilità di un qualsiasi ancoraggio scritto, di riferimento delle modalità di attuazione della prestazione di lavoro agile, pur inequivocabilmente consentita dalla legge per il periodo transitorio di emergenza riconosciuto, può essere occasione di incertezze applicative concrete, prima ancora che interpretative teoriche.

 

LE MODALITÀ APPLICATIVE DEL LAVORO AGILE “PROVVISORIO”

Per ovviare alle incertezze applicative scaturite dal tenore letterale del primo DPCM apparso lo scorso 23 febbraio, il Ministero del Lavoro, con comunicato del 24 febbraio 2020, anteriore all’emanazione dei due nuovi DPCM, aveva chiarito che nelle aree considerabili a rischio per la diffusione del COVID-19 (relative alle 6 regioni dove i datori di lavoro hanno sede legale e/o operativa o, ancora, per i lavoratori residenti/domiciliati nelle regioni suddette che lavorino al di fuori) per favorire il normale svolgimento dell’attività lavorativa, il provvedimento consente, in via straordinaria, l’attivazione dello smart working anche in assenza dell’accordo individuale con il dipendente fruitore del lavoro agile. L’art. 4 c. 1 lett. a del DPCM ha inoltre allargato l’area geografica di applicabilità del lavoro agile ‘semplificato’ all’intero territorio nazionale. Il dicastero ha specificato tuttavia che permane l’obbligo della comunicazione obbligatoria e che, nei casi di lavoro agile ex art. 4 DPCM 01.03.2020, il datore di lavoro depositerà un’autocertificazione che attesti come il rapporto di lavoro agile si riferisca ad un lavoratore appartenente ad una delle aree localizzate come a rischio contagio. Nel campo “data di sottoscrizione dell’accordo” sarà poi inserita la data di inizio della prestazione di lavoro agile. Dal momento che l’art. 4 del citato DPCM specifica che le disposizioni in esame sono efficaci fino alla fine del prossimo luglio (data di conclusione dello stato di emergenza proclamato il 31.01.2020) in attesa di eventuali ulteriori aggiornamenti normativo e/o di prassi, tale data potrà essere considerata quella di fine validità dell’autocertificazione di lavoro agile ‘provvisorio’.
Resta di per sé complesso verificare inoltre la materia stessa oggetto della autocertificazione richiesta dal portale ministeriale: una autocertificazione si configura infatti quale atto unilaterale nonostante, come sopra specificato, il lavoro agile si fondi su una base negoziale e consensuale difficilmente riassumibile o sostituibile da un modello autocertificativo siglato dal solo datore di lavoro senza previsione esplicita di condivisione preventiva con il lavoratore interessato. Va inoltre notato come il portale ministeriale richieda obbligatoriamente tutte le informazioni di compilazione (anagrafica dipendente, PAT Inail, voce di tariffa applicata, tipologia di rapporto di lavoro, data di inizio ed eventuale fine del lavoro agile). Sarebbe tuttavia auspicabile, per la peculiare forma di lavoro agile in analisi, una comunicazione più stringata e soprattutto che consenta un caricamento massivo attraverso upload di file, analogamente alle procedure di comunicazione obbligatoria all’assunzione.

 

LA COMPILAZIONE DELLA AUTOCERTIFICAZIONE

La autocertificazione attesterà comunque gli elementi essenziali del rapporto di lavoro agile rimandando, nel caso in cui lo smart working sia già presente in azienda e regolato da accordi aziendali o regolamenti disposti dal datore di lavoro, alle prassi già consolidate. Rispetto al telelavoro, si ricorda inoltre che la sede di espletamento della prestazione lavorativa non dovrà necessariamente coincidere con il solo domicilio del lavoratore, tenendo però conto di come l’attivazione del lavoro agile in via automatica per effetto del rischio epidemiologico dovrà anche rispettare le peculiari condizioni delle aree geografiche in cui la mobilità risulterà limitata. Il c. 2 dell’art. 22 della L. n. 81/2017 chiarisce come il lavoratore sia tenuto a cooperare all'attuazione delle misure di prevenzione predisposte dal datore di lavoro per fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali. Risulterà inoltre opportuno fornire al lavoratore in lavoro agile, seppur in difetto dell’accordo scritto, l’informativa in materia di sicurezza che specifichi i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro autonomamente prodotta dal datore di lavoro nel rispetto del D.Lgs. 81/2008 e in attesa dei modelli che saranno messi a disposizione dall’Inail sul proprio portale telematico.
In riferimento agli strumenti di lavoro, a differenza del telelavoro che - nella maggior parte dei contratti collettivi - prevede una dotazione completa degli stessi a carico del datore di lavoro, la disciplina del lavoro agile consente, secondo quanto specificato dal primo comma dell’art. 18 del Jobs Act del Lavoro Autonomo, il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa. Nel caso in cui gli stessi siano forniti dall’azienda, il successivo comma 2 esplicita che ricadrà sul datore di lavoro la responsabilità della sicurezza e del buon funzionamento degli strumenti tecnologici assegnati al suo dipendente. Nel caso di aziende che si ritrovino a utilizzare in modo straordinario tale istituto senza potere fornire alcun mezzo tecnologico ai lavoratori l’autocertificazione (o, ancora meglio, l’accordo che sarà sempre possibile e più opportuno sottoscrivere) potrà specificare gli strumenti propri e le modalità di lavoro utilizzabili dal lavoratore nel rispetto delle norme sulla privacy, sulla sicurezza sul lavoro e sulla protezione del segreto aziendale.

 

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